Tala'i' ibn Ruzzik

Ṭalāʾīʿ ibn Ruzzīk (in arabo طلائع ﺑﻦ ﺭﺯﻳﻚ?; 1101-2 – Il Cairo, 11 settembre 1161) è stato un vizir fatimide dal 1154 al 1161.

Abū l-Gharāt Fāris al-Muslimīn al-Malik al-Ṣāliḥ[1] Ṭalāʾīʿ b. Ruzzīk al-Ghassānī al-Armanī - berbero o più probabilmente armeno di nascita - era figlio di un militare venuto in Egitto al seguito del vizir armeno al-Badr al-Jamali. Qui salì progressivamente i gradi dell'amministrazione militare, tanto che nel 1143 lo si trova già governatore (Walī) di Buḥayra, nella regione nordoccidentale del delta del Nilo, e nel 1154 di varie altre province egiziane, tra cui al-Ushmūnayn (sulla sponda sinistra del Nilo, in Alto Egitto).

Divenne vizir del piccolo Imam fatimide al-Fāʾiz bi-naṣr Allāh nel 1155, dopo che la famiglia di questi ne ebbe invocato l'intervento. Naṣr ibn al-ʿAbbās, figlio del vizir al-ʿAbbās b. Abī l-Futūḥ (a sua volta figlio di al-Ādil b. al-Sallār), nonché (si mormorava) amante dell'Imam, aveva infatti pugnalato a morte al-Ẓāfir bi-dīn Allāh, incolpando poi del delitto i fratelli, anch'essi mandati quindi a morte.
Il nuovo Imam al-Fāʾiz, che aveva assistito ad appena cinque anni di età a quelle atrocità, ne rimase talmente sconvolto da soffrire per sempre di convulsioni. Si dice che, per sottolineare la disperazione della Corte, le donne dell'harem dell'Imam pugnalato a morte invocassero l'intervento del governatore di al-Ushmūnayn, inviando a Ṭalāʾīʿ le loro chiome recise perché infliggesse all'omicida e ai suoi complici la giusta vendetta.[2]

Nel luglio del 1154 Ṭalāʾīʿ b. Ruzzīk, interamente vestito di nero,[3] come i suoi vessilli, entrò al Cairo, avviando immediatamente una serie di esecuzioni che mandarono a morte tutti coloro che avevano collaborato col deposto vizir, assassino dell'Imam/Califfo e dei suoi fratelli.
Al-ʿAbbās b. Abī l-Futūḥ fuggì in direzione della Palestina, portando con sé ogni ricchezza possibile prelevata dal Tesoro fatimide ma fu catturato dai Crociati e messo senz'altro a morte dopo avergli sequestrato tutti i beni, mentre il figlio Naṣr, anch'egli catturato, fu consegnato alle autorità fatimidi. Di lui si occuparono le donne dell'harem che, con la stessa ferocia di cui egli s'era a suo tempo mostrato capace, non esitarono a giustiziarlo.

Si occupò poi delle pressanti emergenze economiche, dando però al contempo prova della sua religiosità, di schietta impronta sciita, ordinando nello stesso 1154 la costruzione di una moschea destinata a ospitare la testa del terzo Imām sciita, al-Husayn ibn 'Ali[4] e che fu quindi chiamata Sayyidnā Ḥusayn, ossia Signor nostro Ḥusayn, nei pressi immediati del Khān el-Khalīlī e della Moschea-università di al-Azhar.

  1. ^ Il laqab significa "Cavaliere dei musulmani, Pio sovrano".
  2. ^ Gaston Wiet, L'Egypte arabe de la conquête arabe à la conquête ottomane, 642-1517 de l'ère chrétienne, Parigi, Plon, 1937, pp. 284-288.
  3. ^ Anziché il tradizionale bianco fatimide.
  4. ^ Spiccata dal busto nel 680 al termine della battaglia di Kerbela', per essere trasportata in una cassetta, riempita di opportuni conservanti, a Damasco al califfo omayyade Yazid I. Da Damasco i Fatimidi l'avrebbero prelevata, al momento della loro conquista della città siriana, per portarla nella loro nuova capitale del Cairo.

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